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Carissimi Soci, Professionisti & studiosi del Benessere Naturale,

nell’intento di fugare i dubbi e le incertezze, che qualcuno sta cercando nuovamente di generare, riguardo la leicità dell’esercizio professionale del vasto mondo della Naturopatia Discipline Bio Naturali, il SINAPE FeLSA CISL in collaborazione con il Dr. Fabio Ambrosi ancora una volta precisa che, in riferimento ad articoli e notizie, provenienti da fonti spesso non autorevoli, che per motivi di varia natura criticano  le scuole ed enti di rappresentanza delle suddette Professioni, segnaliamo che si era sempre deciso di non intervenire o rispondere direttamente a tali considerazioni, non ritenendo opportuno riconoscere autorevolezza alle fonti di cui sopra.

Ciononostante, è nostra intenzione fare una sintesi ragionata delle fonti giuridiche e normative che regolano questo mondo Professionale, avvertendo fin da ora che procederemo con tutti i mezzi contro coloro che dovessero persistere in atteggiamenti discriminatori e/o lesivi nei confronti dei Professionisti da noi Rappresentati e Tutelati.

Una delle prime critiche che viene mossa è che non esiste per la figura professionale del Naturopata una apposita regolamentazione di legge, se non negli Stati Uniti con la qualifica di “medico naturopata”, non ci risulta che sia così.

La figura professionale del naturopata è regolamentata anche in Spagna, Portogallo, Belgio e in Inghilterra, esempi tra i numerosi possibili Paesi in cui essi sono definiti “Naturopati”, esercitano la “Naturopatia” alla luce del sole e con l’avvallo della legge. Ma se giochiamo con il termine “regolamentata da apposita legge”, dobbiamo specificare che in questo caso le leggi ci sono, ma accomunano più figure professionali, come è avvenuto in Italia con la legge n°4 del 2013. E ciò mantenendo il valore dovuto alla professione di Naturopata.

Altra critica frequente è che gli articoli del Codice Civile 2222 e seguenti, prevede e disciplina l’attività di prestazione d’opera intellettuale, ossia di consulenza.

“È solo in questa forma che la naturopatia, che non è medicina ma una filosofia pratica di vita, può essere esercitata, al di fuori dell’ambito sanitario”.

L’aspetto della consulenza è presente, ma può esserlo anche quello dell’applicazione di altre tecniche e Discipline Bio Naturali. Dunque il naturopata non è esclusivamente un consulente. Lo dice l’autorevole fonte dell’Organizzazione della Sanità, in modo chiaro e da circa dieci anni, senza che la cosa ad oggi sia mai stata smentita.

Chiunque può controllare la fonte e verificare. E in questo documento dell’OMS, di seguito esplicitato, troviamo molto altro, tra cui la struttura…. “…della professione di naturopata, definendo percorso formativo, codice deontologico, ambito di operatività e di competenza”.

Riferimento: WHO Library Cataloguing-in-Publication Data: Benchmarks for Training in Naturopathy. 1.Naturopathy. 2.Complementary therapies. 3.Benchmarking. 4.Education. I.World Health Organization. ISBN 978 92 4 15996 5 8 (NLM classification: WB 935) www.who.int/medicines/areas/traditional/BenchmarksforTraininginNaturopathy.pdf

In esso l’O.M.S. ha contemplato sia l’esercizio di tecniche corporee, sia l’utilizzo di strumentazioni a componente elettronica, in regime di sicurezza, quando non elettromedicali.

Non solo, la medesima, autorevole istituzione internazionale, auspica che ogni operatore, anche non sanitario, utilizzi al meglio le proprie conoscenze, per potenziare il benessere psicofisico individuale e collettivo, al fine di lavorare nel miglior modo possibile al benessere e alla prevenzione di base con ogni mezzo utile (Dichiarazione OMS di Alma Ata).

Per “benessere e prevenzione con ogni mezzo utile”, si configura qualunque intervento, anche non clinico-terapeutico, proposto al fine di rinforzare e migliorare il benessere psicofisico, nel rispetto del concetto ippocratico Primum non nocère. 

E, il Naturopata è implicitamente orientato a far proprie le indicazioni dei documenti OMS: “Ognuno è autorizzato e tenuto, all’interno della propria preparazione, a svolgere la prevenzione di base con ogni mezzo, a vantaggio del singolo e dell’intera comunità umana” (Dichiarazione di Alma-Ata del 1978 e aggiornamenti successivi: WHO: The Alma Ata Declaration, Geneva, 1978).

In riferimento poi, che In Germania gli Heilpraktiker e in Svizzera i Naturartzt non sono naturopati, ma operatori sanitari che compiono, tra l’altro, atti medici e chirurgici; si precisa che, essi compiono atti medici, chirurgici, infermieristici e fisioterapici perché lì la legge glielo consente.

Sono Naturopati perché il corpus della disciplina di formazione è quello storicamente appartenuto e appartenente tutt’ora ai naturopati.

Infatti studiano e si basano sull’iridologia, sulla fitoterapia tradizionale naturopatica, sull’alimentazione naturale biologica, sulle tecniche riflessologiche, sull’idroterapia dell’Abate Kneipp, tedesco, pioniere della Naturopatia.

In una critica, si afferma che, non esiste per la Naturopatia alcuna definizione precisa, univoca e universale delle sue specifiche competenze e nessuna legge al mondo ha mai regolamentato la professione di naturopata, definendo percorso formativo, codice deontologico, ambito di operatività e di competenza, costituzione di Albo Professionale, Esame nazionale di abilitazione.

Qui ancora una volta giochiamo con le parole. La legge italiana c’è, si conosce benissimo e, spesso viene menzionata, ma ne viene negato il valore. Ci chiediamo, che autorità hanno coloro che negano tale valore? Ciò che probabilmente non si conosce, almeno non viene menzionato, è che prima di detta legge, nel nostro Paese c’è n’è stata un’altra, del 2011, senza la quale la n°4/2013 non potrebbe essere applicata a dovere. Questa precedente, ha ufficialmente introdotto il sistema già collaudato da secoli nel Regno Unito, della Common Low, la legge di consuetudine che permette di compiere ciò che non offende né il cittadino, né il mondo animale, né l’ambiente, né la Società, né altre leggi. Si tratta della L. 111 del 2011, ove è stato dato tempo otto mesi agli ordini professionali esistenti, per definire ulteriormente i loro ambiti professionali di mansione. Trascorso tale periodo, tutto ciò che esula dalle professioni ordinistiche e che non offende quanto descritto, in Italia è implicitamente consentito. 

Ci sono numerosi Articoli di legge e sentenze di Cassazione a conferma di quanto qui non esposto, e vengono utilizzati con profitto quando necessario, nelle arringhe difensive.

Viene anche fortemente criticato la nascita, negli ultimi decenni, di scuole di Naturopatia che insegnerebbero cure di patologie con rimedi Naturali, e a detta di questi critici, si tratterebbe di medicina Naturale, come tale praticabile solo ed esclusivamente dal medico e altrimenti perseguibile come reato di esercizio abusivo della professione medica.

Ci sarebbe un busines allettante per le scuole di naturopatia, con le loro finte “Federazioni”, dimenticandosi di delineare e definire quali siano le competenze del naturopata (a tutt’oggi, definito come una sorta di “riequilibratore in materia di salute e benessere” – che è evidentemente una definizione ridicola) che stanno cercando da decenni una sorta di legittimazione.

Perché affermare che tale definizione è ridicola? E’ utilizzata con successo nei Tribunali italiani da oltre vent’anni dai legali e dai periti referenti di parte. Se dunque fosse “ridicola” cosa dovremmo pensare degli onorevoli magistrati che l’hanno tenuta in considerazione?

La naturopatia e le sue branche, inclusa la nutrizione naturale e nutraceutica, sono note per essere attività strutturalmente non finalizzate alla diagnosi ed alla terapia di un qualsivoglia stato patologico, bensì alla ricostituzione dell’equilibrio psicofisico della persona, alterato da fattori ambientali, emotivi o di comportamento, non definibili in termini di malattia, ma pur sempre idonei ad incidere in senso peggiorativo sulla qualità della vita e quindi ad indurre uno stato di malessere, considerato – in senso puramente descrittivo – come opposto di benessere – e non come sintomo di patologia.

Si tratta quindi, in estrema sintesi, di pratiche riequilibrative. Può agevolmente farsi riferimento alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la quale, riconoscendo l’esistenza dei “Cumulation Effects of Subliminal Everything (CESE)”, ovvero la somma di tanti effetti di una alterazione non specificatamente individuabile dal punto di vista clinico, ha di fatto riconosciuto l’esistenza di disturbi (disequilibri) non necessariamente riconducibili ad una specifica patologia, cui possono giovare i metodi naturali.

A fronte di un quadro giuridico che, a livello costituzionale e di legislazione ordinaria, riconosce e protegge il libero esercizio dell’iniziativa economica privata sotto forma di attività professionale, deve assumersi che l’individuazione delle professioni – il cui lecito esercizio presuppone il conseguimento di una speciale abilitazione – sia soggetto ad un criterio di tipicità e di stretta interpretazione. In questa prospettiva, è corretto affermare che l’esercizio in forma professionale della naturopatia e delle discipline collegate – pratiche non riconducibili alla medicina, sia essa o meno convenzionale – è sostanzialmente libero, non soggetto ad abilitazione di carattere amministrativo, anche in relazione a recenti leggi già menzionate nella presente.

Viene poi aspramente criticata la Legge 4/2013 perché secondo tale critici non disciplina e non regolamenta nulla, ma prevede solo le norme per l’accesso a un registro privo di validità legale di abilitazione, da parte di qualsiasi associazione di categoria professionale” ed ugualmente criticate le Norma UNI, fortemente raccomandate nella Legge 4/2013, in quanto a loro dire “non è una norma di legge come si potrebbe pensare, ma una certificazione privata, priva di valore legale di titolo di abilitazione alla pratica professionale”.

            Per le ragioni suddette, né la Legge 4/2013 né i registri e le norme di accreditamento sono inutili, ma anzi efficaci proprio in termini giuridici. Le regolamentazioni, ai sensi della L. 111.2011 e poi seguendo la n° 4/2013 e i criteri di certificazione, sono autorevoli, a norma di legge, autoreferenti e accettati dallo Stato. Sarebbe come dire che l’oggetto sociale di una Società non vale nulla, perché non promulgato da una legge. O, che il regolamento di condominio non vale nulla, perché non definito da una legge. Ma la legge ti dice che se lo strutturi e lo registri dal Notaio, poi in Camera di Commercio o in forma ufficiale prevista, in armonia con le norme dello Stato, esso è riferimento certo per la legge che ne regolamenta quello specifico quadro di settore.

Tale legge dovrà necessariamente tenerlo in considerazione, essendo stato tutto il percorso previsto e programmato proprio dalla legge, di conseguenza lecito e legalizzato.

Le critiche a ciò, sembrano non voler ammettere il fatto che l’applicazione delle nuove norme di liberalizzazione stabilite dalla legge 111/2011, prevedono un cambio di visione legislativa, che copia e si adatta al modello inglese della “Common Law” strumento flessibile ed efficace, che affianca le leggi di stato del Regno Unito.

Essa, in secoli di applicazione pratica, ha sempre dimostrato efficacia e sicurezza, vantaggiose per l’amministrazione della vita sociale inglese e del Commonwealth.

Anche in Italia, da marzo 2012, è prevista l’applicazione del concetto giuridico che una professione può essere esercitata, purché non invada quelle legiferate e normate dagli ordini professionali e quando, nello stesso tempo non offenda altre norme legislative. La Legge n°111.2011 promulgata in Italia, è stata programmata quale apertura al libero scambio professionale e per attivare le liberalizzazioni. E’ ora da un decennio, norma dello Stato a tutti gli effetti.

            Va in particolare osservato ciò che è previsto all’Art. 29/bis della medesima: “Al fine di incrementare il tasso di crescita dell’economia nazionale, ferme restando le categorie di cui all’Art. 33, 5° comma della Costituzione; trascorso il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione del presente Decreto, ciò che non sarà espressamente regolamentato sarà libero”.

Conseguentemente, dalla data del 17 Marzo 2012 l’esercizio delle professioni non regolamentate è libero.

E’ interessante anche ricordare un rapporto del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), apparso nel Maggio 2002 – ci troviamo cronologicamente sia prima della L. 111.2011 che di quella n°4.2013 – il quale rilevava che, affinché si identifichi una professione “non è necessario che questa abbia un riconoscimento pubblico, ma solo quei requisiti che ormai rappresentano il quadro di riferimento internazionale: un sapere dai confini definiti, un sistema di formazione e di controllo della qualità, un corpus di norme etiche, funzioni tutte orientate al cliente”.  

In riferimento poi alle tante disquisizioni sulla L. 4/2013 e la validità Legale dei titoli rilasciati, va considerato anche quanto previsto dal Dlgs. 13/2013 Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’articolo 4, commi 58 e 68, della legge 28 giugno 2012, n. 92. (13G00043) (GU Serie Generale n.39 del 15-02-2013).

            Inoltre, la Legge 4/2013, afferma quanto segue alla definizione della medesima, nel titolo che la descrive: “Professioni non ordinistiche”.  Quali sono le professioni non ordinistiche? Per comprenderlo dobbiamo conoscere quali sono quelle ordinistiche, ovvero quelle dell’avvocato, del medico, delle professioni sanitarie, dell’ingegnere, dell’architetto, del geometra, dei vari periti, e altre che possiedano un albo specifico, con un numero di posizione per ogni iscritto e una cassa previdenziale istituita per legge. Altre professioni in Italia, non hanno avuto un albo professionale e una cassa previdenziale, per ragioni sia storiche che contingenti.

A ciò ha inteso provvedere la Legge 4/2013, che ha previsto una forma di inquadramento, che per quanto perfettibile, ha comunque permesso di focalizzare tutte le altre principali professioni esistenti di fatto sul territorio nazionale. Esse sono decine e decine. La legge medesima non parla di “professioni non riconosciute”, ma di “professioni non ordinistiche”. “Non ordinistiche”, significa appartenenti ad altre, piuttosto che a quelle di ordini o collegi già costituiti. Ma professione rimane. E lo dice la legge. Più chiaro di così, agli articoli 3.

Art.2: “ Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative”.

 La Naturopatia è una “attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi”? Si lo è. Risulta già ordinata in ordini o collegi in senso ordinistico? No, in Italia non lo è ancora. In Italia è una disciplina medica o sanitaria? No, non lo è. Dunque per quale ragione la Naturopatia non dovrebbe essere compresa nella Legge 4/2013?

Art 3: Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della presente legge.

L’inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo codice. 

            Se la naturopatia è una disciplina applicabile alla presente legge, è ovvio che la dizione di riferimento a tale legge risulti obbligatoria. Ma nessuno scrive “abilitato”, abilitazione essendo un termine riservato agli iscritti ad ordini e collegi.

Le critiche, tendono solo ad intrappolare i concetti, manipolandone astutamente i termini di riferimento.

Oltre all’iscrizione al registro professionale, la certificazione a Norma UNI è auspicabile. La ragione è semplice. L’Ente accreditatore lo è divenuto a seguito di autorizzazione proveniente da precisa legge dello Stato che lo autorizza a fare ciò. Nel mondo, l’accreditamento viene svolto sulla base della norma internazionale ISO/IEC 17011.

All’interno dell’Unione europea, il Regolamento europeo 765/2008 prevede che ogni stato membro nomini il proprio Ente Unico nazionale di accreditamento e ha conferito per la prima volta a tale attività uno status giuridico, riconoscendola come espressione di pubblica autorità. Una cosa piuttosto diversa da un “riconoscimento fasullo”. La cosa come detto si è comunque dimostrata valida con il nulla osta di fatto di questi anni, ovvero non ostacolo alcuno da enti ispettivi preposti, non sanzioni né processi per questo, e in caso di processi in cui sia stata coinvolta la certificazione a seguito dell’inchiesta, assoluzione assoluta per i soggetti protagonisti, quando si siano comportati in modo coerente con la deontologia richiesta.  In Italia l’Ente di accreditamento designato dal governo è ACCREDIA (si veda allegato fonte Giuridica natura di ACCREDIA).

            Poiché le certificazioni sono moltissime e variano per enti, laboratori, industrie, istituti, studi professionali, liberi professionisti, l’Ente Accredia a sua volta autorizza enti specifici “Organismi di Certificazione” che, nel caso in specie, certificano i Naturopati con le Norme Tecniche UNI. Il certificato rilasciato ad una persona, garantisce che la persona certificata possieda determinate competenze, dettagliate in termini di conoscenza, abilità, responsabilità e autonomia, pur non collocandola necessariamente in uno standard uguale per ogni professionista.

Come dire che può esistere il naturopata solo consulente e/o specializzato anche in diversi rami delle Discipline Bio Naturali.

Con lo stesso concetto di dignità, un uomo non statunitense, né neozelandese, né australiano, né canadese, ma italiano, resta un uomo. Affermare il contrario – cioè discriminare tale soggetto come non-uomo, e/o cancellare tali professioni come non professioni, ridurle a sub-professioni e ancor peggio, indicare coloro che con zelo pongono in chiaro la loro attività, come ciarlatani, significa affermare ciò che la legge non esprime, oltre che a svilirne il significato e lo scopo.

Quindi, chi dice ciò afferma cose non vere, in altre parole, per esprimerci con chiarezza, tale affermazioni risultano false.  In genere, chi afferma falsità, minacciando querele, e con toni assoluti e minacciosi, è un bugiardo. 

Oppure, pur rimanendo tale, qualcuno che assume il ruolo che nessuno gli ha chiesto di assurgere, di paladino difensore di una verità inesistente. Ma in questo caso dovremmo ipotizzare una qualche forma di disturbo. Poco scientifica e logica, a discapito del profilo auto-referenziato di scientificità e razionalità, che si vorrebbe manifestare.

            Inoltre, così come discriminare un uomo per la sua cittadinanza è reato, lo è anche discriminarlo per la sua posizione sociale (professione di naturopata), affermando con disprezzo che non è un professionista, ma in pratica, un nulla. In questo caso si configura il reato di discriminazione sociale.

Art. 3, comma 1, della Costituzione si afferma infatti che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 21, recita: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale…”.  Ciò nel rispetto delle norme italiane e comunitarie, considerati anche i seguenti artt. della nostra Costituzione:

Art. 4 “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”;

Art. 35 della Costituzione “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni […]”; 

Art. 41 della Costituzione “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo di recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana […]”; Art. 2060 del Codice Civile “II lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali.”; Art. 2229 del Codice Civile “La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi.” – Altro potremmo riportare, ma diventa un aspetto tecnico-giuridico, che ci riserviamo di applicare in altra sede.

Che il naturopata, come i professionisti delle altre professioni rientranti nella legge 4.2013, non possano esercitare come sanitari, è pacifico. Per cortesia, potete indicarci chi ha mai affermato il contrario?  

Ma tuttavia ciò non vuol dire, che se un naturopata fornisce dei suggerimenti ricchi di buon senso a un soggetto che soffre di un qualche disturbo, e che, se anche grazie a tali consigli il soggetto sta meglio o addirittura guarisce, non vuol dire necessariamente che il naturopata o la figura di facilitatore del benessere, abbia esercitato una professione sanitaria.

Nel nostro archivio si conserva una sentenza di Cassazione ove essa specifica perfino che non sia imputabile di colpa il professionista che – pur rimanendo all’interno di un comportamento deontologico coerente alla propria attività – abbia potuto sfiorare apparentemente o di fatto, quello di un professionista di un’altra professione.

Nemmeno fornire consigli generici di carattere alimentare, privi di grammatura è considerato prevaricare la professione sanitaria, come precisa un’altra specifica sentenza di Cassazione. E neppure esercitare come Counsellor (consigliere) o Coach (guida) del mondo del Wellness (Benessere). La causa a lungo impugnata dagli psicologi contro le associazioni dei Counsellor, è naufragata – con la Sentenza del gennaio 2019 del Consiglio di Stato, ove è stata invece avvalorata la liceità di esercizio della professione di Counsellor privo di laurea in psicologia.

L’opinione, che la naturopatia non sia una professione lecitamente esercitabile in Italia, non trova reali agganci né normativi e neppure giuridici in senso complessivo. Semmai l’opposto, come specificato in forma chiara da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 2016.

Inoltre, se tutte le critiche distruttive sarebbero vere, e tutto fosse incostituzionale ed illegale, come mai, il nostro sindacato si è fatto promotore verso il Governo per far ottenere i Bonus (causa Coronavirus della primavera 2020) e molti dei nostri associati l’hanno ricevuto?

Ma c’è di più. Quando si affrontano professionalmente temi forensi, a definire ciò che è consentito compiere o meno non sono i pareri, né le opinioni “scientifiche”, ma esclusivamente i termini di legge.

A prova inoppugnabile di ciò, riportiamo una parte della Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sezione VI, del 3 marzo 2016, n°8885, che relativamente al caso di un “naturopata”, o meglio, di un soggetto dichiaratosi tale, che compiva atti medici e dispensava farmaci omeopatici, condannato; i giudici nella medesima sentenza così si esprimono sulla liceità di attivazione in Italia dell’attività “dei naturopata” (il termine “dei naturopata” è riportato tale quale dal paragrafo della sentenza):

 “…Invero, deve riconoscersi la possibilità del libero svolgimento di un’attività come quella dei naturopata ovvero di quelle rientranti nel novero della medicina alternativa, tuttavia tali attività non possono mai sostanziarsi “in atti tipici della professione medica”: più precisamente, ad un soggetto privo dell’abilitazione medica è concesso svolgere tali attività – in presenza dei requisiti prescritti, purché non esegua diagnosi di malattie, non prescriva rimedi terapeutici e non somministri farmaci, perché in questo caso la sola circostanza che si tratti di metodiche alternative, pur se riconosciute dalla legge, non consente di ritenere lecito l’esercizio di un’attività corrispondente a quella medica da parte di chi non ha le competenze tecnico-scientifiche formalmente asseverate a seguito dei conseguimento dell’abilitazione”.

Che la naturopatia in Italia non possa configurare atti medici, è risaputo, come già indicato in questa relazione, ciò è un pilastro acclarato e fuori discussione. Si noti quindi – ciò premesso – come risultino inconsistenti i “divieti”, da chi divulga notizie false e/o tendeziose che lasciano paventare interessi a proprio vantaggio.

Abbiamo poi rilevato delle critiche e discriminazioni, che tendono solo di suggestionare il lettore inserendo addirittura un logo ufficiale che dia autorità maggiore a quanto si va ad affermare.

Si noti bene che dal 2013 ad oggi, dai dati a disposizione, le principali e più note scuole di naturopatia in Italia, non sono state né fermate né chiuse da alcuna Autorità Ispettiva. E non si comprende perché, se realmente fossero ree del delitto di frode.

E inoltre, come sappiamo, più di un ordine professionale attacca quando può i suoi concorrenti, presunti o reali. Vedi il caso dei Counsellor, attaccati dall’Ordine degli Psicologi.

La pratica ha dimostrato, in circa vent’anni di esperienza dibattimentale dal vivo nei tribunali italiani, che tutti i naturopati querelati per svariate ragioni e contesti, che abbiano esercitato in forma deontologica – difesi da diversi Uffici Legali e, non di meno dallo studio legale Rizzieri – Malaspina di Rovigo, sono stati assolti. Tutti.

Inoltre, va specificato che la Naturopatia possiede aspetti scientifici, ma è anche un’arte e, l’aspetto storiografico della disciplina lo dimostra in modo documentato e incontrovertibile.

Come arte professionale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con vari e rinnovati documenti ufficiali, ne incoraggia l’esercizio, anche con l’utilizzo ad esempio di varie Tecniche Naturali.

Le quali, come indirizzo dottrinale prevedono l’armonizzazione nell’Essere Umano del Chi o “Forza Vitale”, famigerata dai cultori della scientificità asettica, che se ne guardano come degli inquisitori scandalizzati; ma utile e fondamentale in Naturopatia. E soprattutto che funziona! 

I Naturopati utilizzano queste metodiche. Di notte dormono tranquilli, la coscienza non gli rimorde, ma anzi, sono sereni di aver adempiuto al loro dovere professionale in scienza e coscienza, al meglio delle loro possibilità.

Il documento OMS menzionato, emesso da fonte indiscutibilmente autorevole, prevede per il naturopata anche l’utilizzo della Floriterapia, aborrita da alcuni auto referenziati sacerdoti della scienza, come goccioline idroalcoliche placebo.

E dell’Iridologia, e di altre metodiche. Dunque la floriterapia, l’iridologia e altre metodiche, non sono vietate. Perché?

Perché tutto ciò lavora a vantaggio dell’assistito finale, può e deve essere utilizzato quando rientri nel concetto Ippocratico del Primum non nocére.

Come già indicato, l’OMS ritiene che le discipline complementari individuate nelle sue proprie linee guida di formazione, tra cui a pieno titolo la Naturopatia, siano da “diffondere e promuovere con ogni mezzo” (Documento di Alma Ata del 1978 e successivi). Da allora e sono circa cinquant’anni, la posizione dell’OMS è rimasta immutata.

Questa Naturopatia, non la Naturopatia “scientifica-sedicente-unica-vera” portata in auge apparentemente da qualche “salvatore” della Naturopatia (a suo esclusivo vantaggio).

In sintesi è da rigettare totalmente l’affermazione che “…CONFIGURA UN PRECISO REATO DEFINIRSI E QUALIFICARSI COME NATUROPATA ABILITATO A NORMA DELLE LEGGE N° 4 DEL 2013”.

Togliamo il termine “abilitato”, utilizzato solo da colui che ha interesse a farlo. Per il resto, perché l’ufficio dell’Agenzia delle entrate, Ufficio IVA, rilascia codici che prevedono le Discipline del Benessere, se si configurerebbe un reato definirsi e qualificarsi come naturopata?

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, Il Naturopata e gli Operatori delle Discipline Bio Naturali, sono dei professionisti che operano anche in piena autonomia nei campi della prevenzione primaria, dell’educazione al benessere e della riscoperta e valorizzazione delle risorse vitali proprie di ogni essere vivente, e che s’impegnano a rispettare la dignità ed i valori dell’essere umano, ad accrescere la comprensione di se stesso e degli altri favorendo il benessere delle persone che si avvalgono dei loro servizi, e nel contempo esercitano la loro professione, non soltanto per il superamento del disagio delle persone a loro affidatesi, ma soprattutto per favorire la loro crescita individuale e sociale.


Segreteria Generale
SINAPE FeLSA CISL
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